Il 16 aprile 2020 in questo post, scrivevo di come il colore della pelle può determinare le opportunità che la persona ha per il proprio futuro. Poco più di un mese dopo mi ritrovo a scrivere un post di come il colore della pelle decide se vivi o muori.
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Nel post della settimana scorsa parlavo della violazione della privacy da parte di utenti che frequentano i social network e che postano senza il consenso immagini o fatti di terze persone. In particolare ho parlato delle conseguenze a dir poco disastrose del post su TikTok di uno studente di un college americano che ha portato al licenziamento del professore coinvolto a sua insaputa. La colpa del professore in questione è stata quella di guardare un sito porno, cosa del tutto legale e soprattutto privata ma che è finita su tutte le prime pagine dei giornali.
Guardare un porno non è reato (per lo meno non nella maggior parte dei paesi) a patto che le persone coinvolte siano adulti consenzienti e del tutto consapevoli che quelle immagini e video finiscono online a disposizione di tutti. Il rovescio della medaglia, e il problema che ne consegue, è che a volte questi siti raccolgono video amatoriali che non hanno il consenso alla distribuzione da parte delle persone ritratte (generalmente una delle due parti non è coinvolta nella decisione di distribuirlo). La settimana scorsa ho parlato nel post di Into the book del fatto che nel primo libro della London Series, “Resta con me”, il protagonista è un personaggio famoso e, per lui, la questione della privacy, può diventare particolarmente fastidiosa. I social network, però, hanno ridotto la privacy anche delle persone normali. Non sto parlando dei nostri dati personali che le società come Facebook raccolgono e usano a scopi lucrativi, sto parlando degli altri utenti che usufruiscono dei social network e che sono in diretto contatto con noi.
Il primo capitolo del libro “Resta con me” della London series parla di come Joshua incontra uno dei suoi attori preferiti, casualmente, in uno skatepark. Quel primo capitolo, a parte il finale che serve da aggancio al resto della storia, ricorda in maniera molto romanzata come ho incontrato un attore che stimo molto in uno skatepark di Londra. Perché ho voluto scrivere quella storia? Il motivo è perché ho voluto raccontare di un incontro che per me è stato importante ma allo stesso tempo surreale.
Quando è uscito “vieni a prendermi”, primo libro della Stanford Series, ho ricevuto subito pareri molto contrastanti: chi lo ha amato, chi ha storto il naso per l’immaturità della protagonista e per il fatto che non sa cosa fare nella vita. Mentre sono d’accordo sull’immaturità, perché il personaggio è stato volutamente scritto in questo modo, evolvendo nel corso dei quattro libri, dall’altra parte non sono mai stata capace di capire fino in fondo il problema di non sapere cosa fare nella vita.
In diversi post che ho pubblicato nella rubrica “into the book” ho parlato sia del ruolo degli insegnanti nella formazione dei ragazzi, che del divario generazionale nell’uso di internet, e ancora della disparità di opportunità che ci possono essere tra i diversi studenti. Ne “la giara delle imperfezioni”, però, non ho preso in considerazione qualcosa come la pandemia che si è abbattuta negli ultimi mesi e che ci ha costretti a cambiare le nostre abitudini. Questa condizione forzata ci ha messi di fronte all’unione dei tre problemi di cui ho già parlato e il risultato è stato che li ha fatti risaltare in maniera spiccata.
Nelle ultime settimane è salito alla ribalta della cronaca, una notizia che ha fatto accapponare la pelle a chiunque l’abbia letta. In un gruppo di Telegram, più di cinquantamila utenti (maschi) condividevano foto a sfondo sessuale e dati personali di ragazzine ignare di quello che stava succedendo. I commenti che ne venivano fuori erano a dir poco raccapriccianti, dipingendo la donna come carne da macello da scopare o, se reticente, violentare. Con questo post non voglio entrare nel merito dell’esistenza di questo gruppo, che spero vivamente porti gli utenti che vi partecipavano in un’aula di tribunale, ma volevo fare un ragionamento che parte da questa visione della donna.
Ne “la giara delle imperfezioni” Scott è un ragazzo bianco che proviene da una famiglia ricca di New York. Ha un’intelligenza fuori dal comune e ciò l’ha portato a bruciare le tappe scolastiche, sfruttando l’accesso alle migliori scuole e i migliori insegnanti laureandosi giovanissimo. Il padre, viste le sue capacità, ha messo in campo tutte le sue conoscenze per fargli avere il meglio e fargli sfruttare quelle abilità fuori dal comune che lo rendono speciale.
Se Scott fosse stato un ragazzo nero del Bronx, povero e con i genitori che fanno tre lavori ciascuno per poter mantenere la famiglia, avrebbe avuto le stesse possibilità? La risposta è, probabilmente no. Se fosse stato in queste condizioni, uno degli insegnanti avrebbe dovuto accorgersi di quelle capacità, avrebbe dovuto parlare con la famiglia, spingerlo a studiare di più, dedicarsi a lui trascurando gli altri alunni. Cosa poco realistica. Quando ho iniziato a scrivere “la giara delle imperfezioni” avevo ben chiara in mente una cosa: Scott doveva essere un professore giovane, tanto giovane, poco più grande dei ragazzini a cui faceva lezione. Doveva entrare in contatto con loro, far parte di quel gruppo, guadagnarsi la loro fiducia per poter insegnare loro qualcosa di più che la semplice storia prevista in programma.
Dal momento in cui nasciamo fino a quando non diventiamo adulti e cominciamo una vita del tutto indipendente abbiamo bisogno di qualcuno che ci guidi e ci insegni a scegliere. All’inizio ci sarà solo la famiglia, poi col tempo si uniranno altre figure come gli insegnanti. Tutte queste persone sono fondamentali per la crescita e la formazione di un bambino. Ne “la giara delle imperfezioni” tratto un aspetto della vita moderna che non sempre è chiaro e palese di fronte ai nostri occhi ma che, se viene sottovalutato, può condizionare la vita di molti adolescenti. Parlo del gap tecnologico generazionale che ci divide dalle generazioni più giovani. Con l’evolvere della tecnologia, il rischio di diventare obsoleti agli occhi degli adolescenti è sempre più concreto e soprattutto rapido.
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AutoreMoglie, zia orgogliosa, immigrata, autrice di 15+ romanzi, fervida sostenitrice del “be kind”, amante delle piante ma riesce a ucciderle in meno di una settimana. Seguimi su:Archivi
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