ERIKA VANZIN
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A diciotto anni non sai cosa vuoi

7/5/2020

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Quando è uscito “vieni a prendermi”, primo libro della Stanford Series, ho ricevuto subito pareri molto contrastanti: chi lo ha amato, chi ha storto il naso per l’immaturità della protagonista e per il fatto che non sa cosa fare nella vita. Mentre sono d’accordo sull’immaturità, perché il personaggio è stato volutamente scritto in questo modo, evolvendo nel corso dei quattro libri, dall’altra parte non sono mai stata capace di capire fino in fondo il problema di non sapere cosa fare nella vita.
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Photo by Robert Ruggiero on Unsplash
​Il libro è ambientato a Stanford, università californiana molto rinomata, la protagonista è di Seattle. Negli Stati Uniti i ragazzi si diplomano un anno prima che in Italia e, a differenza delle scuole italiane, il loro percorso di studi è generico. Non esistono licei scientifici, classici, ragioneria, magistrali, semplicemente frequenti la scuola superiore.
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Photo by Hannah Busing on Unsplash
​Quando una signora mi ha detto che a diciott’anni dovresti già saper scegliere quale facoltà frequentare, sono rimasta un po’ spaesata perché, sinceramente, a diciott’anni dovrebbe essere il momento in cui le persone sperimentano prima di scegliere cosa fare nella vita.
​Quando sono andata per la prima volta a scuola, ho scoperto di essere brava in matematica. La cosa che mi appassionava di più, però, era leggere e scrivere storie. Amavo immergermi per ore nella mia fantasia, infatti passavo le ore sul divano a giocare con i Lego, a costruirmi mondi e storie fantastiche che nessuno, a parte me, poteva raggiungere.
Quando sono andata alle medie, ero sempre brava in matematica. In musica e  francese ero appena sufficiente (un disastro per me), ma mi piaceva tantissimo italiano e tutto quello che riguardava la sfera artistica, come il disegno. Quando è arrivato il momento di scegliere cosa fare alle superiori, è stata una tragedia. Il liceo artistico era troppo distante da casa e richiedeva delle giornate in cui rimanere anche il pomeriggio e avrei dovuto probabilmente trasferirmi in un collegio. Ho scartato l’idea, vista la lontananza. Gli istituti professionali non mi permettevano di avere una professione che mi piaceva, soprattutto perché non avevo idea, a tredici anni, di come fossero davvero quelle professioni, quindi le ho scartate. Rimanevano i licei, classico e scientifico. Con il liceo significava fare necessariamente l’università, con il liceo classico, però, cosa fai dopo? Lettere? E cosa vai a fare, aumentare la coda degli insegnanti precari per cui il posto fisso è un miraggio? Mica puoi pensare di fare lo scrittore, non ci campi a fare lo scrittore in Italia. Io non avevo idea, a tredici anni, di come potesse essere il mondo del lavoro perché a quell’età non avevo molta esperienza lavorativa, così mi sono affidata a ciò che gli adulti mi descrivevano, cercando di farmi un’idea e prendere una decisione.
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Photo by Jamie Street on Unsplash
​Così la scelta è ricaduta sul liceo scientifico, d’altra parte ero brava in matematica, no? La realtà è stata ben diversa, perché io davvero non avevo idea di cosa fare da grande. Perché chiedere a un ragazzino di tredici anni di scegliere la scuola in base alla professione che vuole fare è a dir poco illogico. La maggior parte dei ragazzini a quell’età non ha la più pallida idea di quale sia il loro futuro, ed è giusto così. Quella è l’età in cui dovresti scoprire di più su te stesso, non essere costretto a fare scelte che, se realizzi essere sbagliate in futuro, sarà difficile cambiare rotta.
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Photo by Garrett Sears on Unsplash
​Quando poi sono andata all’università, perché un liceo non ti prepara a nessuna professione, in realtà mi sono sentita “costretta” a seguire una laurea scientifica perché come potevo pensare di ripartire da zero con una laurea umanistica quando avevo una base scientifica? Ho deciso di laurearmi in Statistica. Non ho mai usato un solo giorno la mia laurea.
​A diciotto anni non avevo idea di cosa volevo fare da grande perché non avevo idea di quali fossero le professioni a disposizione. Non ho mai avuto il tempo di esplorare le mie passioni e capire cosa davvero volessi fare. Ero immatura e il fatto di essere pressata a fare delle scelte che potevano rivelarsi potenzialmente sbagliate non aiutava.
​L’aver scelto una laurea sbagliata, mi ha portata poi a dover correggere tutto l’andamento della mia vita attraverso sforzi e sacrifici immani che mi hanno portata a scoprire la mia vera passione e a costruirmi la mia vera professione a trent’anni, dieci anni più tardi delle persone con cui devo “competere” adesso. Ho virtualmente perso dieci anni in cui potevo specializzarmi in quello che più mi piace fare: scrivere.
​È per questo che mi trovo spaesata quando mi dicono che a diciott’anni devi iniziare a sceglierti una carriera, perché in realtà a diciott’anni devi ancora capire chi sei veramente e quali siano davvero le tue potenzialità e capacità. Io stimo le persone che decidono fin da giovani cosa vogliono nella vita e lo inseguono fin dalla giovane età, riuscendo a raggiungerlo presto. Sono però anche convinta che, tanti si rendano conto che in realtà quella non è la professione che vogliono fare per il resto della vita, si sentono intrappolati, ma è troppo difficile, dispendioso, o semplicemente fa troppa paura cambiare.
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Photo by Adrian Dascal on Unsplash
​Sì, alcune persone sanno cosa vogliono fare nella vita a tredici anni, altre a sedici, altre a venti, altre a quaranta. Non tutti maturano allo stesso tempo e non tutti hanno le stesse opportunità di scoprire quale sia la loro vocazione. Mettere pressione a un ragazzino per scegliere del proprio futuro senza lasciargli la possibilità di imparare cosa gli piace, risulta spesso controproducente per la maturazione della persona.
​È per questo motivo che mi piace scrivere di personaggi indecisi, che non sanno cosa vogliono, che non hanno idea di cosa fare del loro futuro, perché voglio che abbiano la possibilità di sbagliare, imparare, crescere e diventare adulti consapevoli.

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    Moglie, zia orgogliosa, immigrata, autrice di 15+ romanzi, fervida sostenitrice del “be kind”, amante delle piante ma riesce a ucciderle in meno di una settimana.

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