Nel post della settimana scorsa parlavo della violazione della privacy da parte di utenti che frequentano i social network e che postano senza il consenso immagini o fatti di terze persone. In particolare ho parlato delle conseguenze a dir poco disastrose del post su TikTok di uno studente di un college americano che ha portato al licenziamento del professore coinvolto a sua insaputa. La colpa del professore in questione è stata quella di guardare un sito porno, cosa del tutto legale e soprattutto privata ma che è finita su tutte le prime pagine dei giornali.
Guardare un porno non è reato (per lo meno non nella maggior parte dei paesi) a patto che le persone coinvolte siano adulti consenzienti e del tutto consapevoli che quelle immagini e video finiscono online a disposizione di tutti. Il rovescio della medaglia, e il problema che ne consegue, è che a volte questi siti raccolgono video amatoriali che non hanno il consenso alla distribuzione da parte delle persone ritratte (generalmente una delle due parti non è coinvolta nella decisione di distribuirlo).
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La settimana scorsa ho parlato nel post di Into the book del fatto che nel primo libro della London Series, “Resta con me”, il protagonista è un personaggio famoso e, per lui, la questione della privacy, può diventare particolarmente fastidiosa. I social network, però, hanno ridotto la privacy anche delle persone normali. Non sto parlando dei nostri dati personali che le società come Facebook raccolgono e usano a scopi lucrativi, sto parlando degli altri utenti che usufruiscono dei social network e che sono in diretto contatto con noi.
Il primo capitolo del libro “Resta con me” della London series parla di come Joshua incontra uno dei suoi attori preferiti, casualmente, in uno skatepark. Quel primo capitolo, a parte il finale che serve da aggancio al resto della storia, ricorda in maniera molto romanzata come ho incontrato un attore che stimo molto in uno skatepark di Londra. Perché ho voluto scrivere quella storia? Il motivo è perché ho voluto raccontare di un incontro che per me è stato importante ma allo stesso tempo surreale.
Quando è uscito “vieni a prendermi”, primo libro della Stanford Series, ho ricevuto subito pareri molto contrastanti: chi lo ha amato, chi ha storto il naso per l’immaturità della protagonista e per il fatto che non sa cosa fare nella vita. Mentre sono d’accordo sull’immaturità, perché il personaggio è stato volutamente scritto in questo modo, evolvendo nel corso dei quattro libri, dall’altra parte non sono mai stata capace di capire fino in fondo il problema di non sapere cosa fare nella vita.
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AutoreMoglie, zia orgogliosa, immigrata, autrice di 15+ romanzi, fervida sostenitrice del “be kind”, amante delle piante ma riesce a ucciderle in meno di una settimana. Seguimi su:Archivi
September 2024
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