ERIKA VANZIN
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Essere musicisti in Italia

18/6/2020

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Il mio prossimo libro in uscita, Backstage, parla di quello che è sempre stato uno dei miei amori: la musica. Mentre il libro racconta di chi ce l’ha fatta e ha avuto successo, io volevo dare spazio con questo post a chi, invece, lotta per farlo di lavoro in un paese come l’Italia.
​Come sopravvivi se non sei uno dei grandi nomi della musica italiana? La risposta è, probabilmente, facendo un altro lavoro. Essere musicisti e vivere del tuo lavoro, in Italia, è una cosa che veramente pochi riescono a fare, se non sono davvero famosi.
Perché è così difficile? La risposta non è una sola ma è un insieme di tante variabili che rendono l’ambiente musicale molto ostico per chi vuole farsi strada.
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Photo by frankie cordoba on Unsplash
​In Italia non c’è cultura musicale, o meglio, si parla di nicchie. Le persone generalmente pagano un biglietto per andare a concerti di grandi artisti. Sono disposte a spendere decine o centinaia di euro per vedere i grandi nomi italiani e stranieri, ma  difficilmente pagano pochi euro di biglietto per andare a sentire qualcuno di sconosciuto. Magari si divertono ad ascoltare musica di persone non famose, ma solo alcuni sono disposti a pagare un biglietto d’ingresso per un loro spettacolo. Troppo pochi per poter pensare di vivere con il loro supporto.
​Sono poche, inoltre, le persone che amano ascoltare musica originale di una band. In Italia vanno moltissimo le cover band o le tribute band: coloro che suonano reinterpretando brani famosi o addirittura imitando i cantanti famosi proponendo uno spettacolo del tutto identico all’originale. È per questo motivo nei locali si trovano tantissimi gruppi che suonano musica di qualcun altro ma non la propria, riempiendo l’ambiente di cori che arrivano dal pubblico. È difficile trovare lo stesso entusiasmo per un gruppo che suona canzoni originali e questo si riflette sul numero di volte a cui questi gruppi viene concesso di suonare.
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Photo by Vishnu R Nair on Unsplash
​Ci sono pochi locali destinati solamente alla musica dal vivo. Generalmente coloro che permettono ai gruppi di suonare sono pub e locali che hanno come business principale la ristorazione, la musica fa solo da contorno e pochi sono disposti a pagare un gruppo o far pagare il cliente per farlo suonare. La domanda tipica che il gestore fa a chi si propone per la serata è “quanta gente mi porti?” non vedendo la musica live come un valore aggiunto da dare al cliente ma come modo di venire dentro delle spese con le consumazioni che i fan della band possono portare. Poca gente significa minore incasso per la serata e band agli esordi (o con musica propria) sono escluse dal calendario, a meno che non lo facciano gratuitamente.
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Photo by Swaminathan Jayaraman on Unsplash
​In Italia non c’è la cultura dell’artista di strada. All’estero, nelle grandi città, molti artisti riescono a guadagnarsi da vivere suonando in strada o nelle metro e i passanti lasciano qualche spicciolo dentro la custodia del loro strumento. C’è chi lo fa per ore al giorno, diversi giorni a settimana, è un modo per pagare l’affitto. A Londra il comune ha messo addirittura a disposizione un lettore per bancomat e carte di credito (impostato a tariffa fissa e non modificabile) perché così la gente può fare la donazione senza usare i contanti. In Italia questa cultura manca. ​
A parte la difficoltà a reperire i permessi per suonare su suolo pubblico, le persone non sono così propense a lasciare soldi a chi suona in strada; li vede un po’ come dei disperati all’ultima spiaggia, senza soffermarsi davvero sulla bravura di chi hanno di fronte.
​Da questo si capisce che fare il musicista in Italia non è poi così semplice e deve essere spesso accompagnato da un altro impiego. C’è chi è fortunato e magari riesce ad arrotondare insegnando musica, chi invece deve rassegnarsi e continuare a fare altro nella speranza che il duro lavoro ripaghi e che la sua situazione possa cambiare.
La vita per gli artisti in generale è molto dura, in un paese chiuso come l’Italia, dove all'arte non viene dato un valore anche economico (l'artista viene visto come uno che ha una passione, non un vero e proprio lavoro). È per questo che molto spesso chi vuole vivere della propria arte decide di trasferirsi all’estero dove la sua professione è valorizzata.

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    Moglie, zia orgogliosa, immigrata, autrice di 15+ romanzi, fervida sostenitrice del “be kind”, amante delle piante ma riesce a ucciderle in meno di una settimana.

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