“La giara delle imperfezioni” si apre con l’incontro tra Daisy e Scott al fiume. Scott è una persona che Daisy non conosce, che non ha mai visto e quando corre a casa da Josh a raccontarlo la sua curiosità è più che evidente. Scott diventa l’argomento di conversazione dei due amici perché è una cosa che non capita spesso, quella di vedere stravolta la propria quotidianità da qualcuno che è esterno al proprio paesino. Una reazione simile l’hanno gli altri abitanti del paese in cui Daisy e Josh sono cresciuti, solo che le loro reazioni sono meno amichevoli di quelle si osservano nei due ragazzi. La curiosità diventa sospetto e ogni trasgressione alle regole viene ripresa e punita. Questo atteggiamento l’ho osservato in diverse parti del mondo dagli Stati Uniti all’Italia fino all’Inghilterra, e ho notato che è una cosa che riguarda soprattutto le piccole realtà dei paesini, dove tutti conoscono tutti e se qualcuno viene da fuori a portare nuove culture e tradizioni non viene visto come un arricchimento ma come una “fonte di guai”. Purtroppo, negli ultimi anni, le fazioni politiche cavalcano questo sentimento di diffidenza per aizzare l’odio e indirizzare l’origine dei problemi di un paese intero su qualcosa di esterno al paese stesso in cui governano. Lo stereotipo più comune è quello de “L’immigrato (irregolare) che viene nel nostro paese a rubare il lavoro e a imporci le sue tradizioni”.
Il problema non è dunque che tutte le persone sono razziste, il problema è che l’uomo ha una naturale propensione a essere spaventato e diffidente verso quello che non conosce, lo sente come una minaccia verso la sua persona e la sua famiglia. I bambini non nascono razzisti, sono le idee che sentono dagli adulti a indirizzarli verso un sentimento di chiusura o di apertura verso le altre persone. Spesso gli adulti che sono razzisti, lo fanno in “buona fede” nel senso che non hanno gli strumenti per valutare se quello che viene detto loro sia vero oppure no. Quando queste informazioni vengono strumentalizzate a livello politico o da chi ha interessi a farlo, attraverso i canali di comunicazione ritenuti “ufficiali” come la televisione o i giornali (o recentemente anche la diffusione attraverso i social network), è difficile avere una conversazione ragionevole con l’altra parte perché in quel caso non sei tu considerato l’esperto, la persona autorevole a cui dare ragione. Una cura al razzismo, secondo il mio parere, sarebbe quella di rendere obbligatorio vivere un anno intero in un paese diverso dal tuo. Non andarci in vacanza, non visitarlo con la macchina fotografica al collo, ma studiare o lavorare in quel paese; in questo modo si conosce la vera difficoltà di spostarsi dalla propria terra, dalle proprie abitudini, e si capisce anche cosa significhi per uno straniero venire nel nostro paese. Quando ti rendi conto che la pasta che sei abituato a mangiare tutti i giorni a casa, la trovi nello scaffale dei cibi esotici/stranieri e che costa 14 euro per mezzo chilo, ti rassegni al fatto che devi imparare a mangiare qualcosa di diverso, impari a scoprire ricette locali che costano meno e inizi ad abituarti a gusti e usanze che sono diverse da quelle della tua terra nativa. Quando ti apri mentalmente verso una cultura differente, il problema delle fake news da cui siamo bombardati ogni giorno, con il chiaro intento di condizionare il modo di ragionare delle persone, diventa un “non problema” perché la gente a cui viene proposta ha gli strumenti necessari per capire la differenza tra notizia vera o falsa. Una persona che viaggia, che vive in ambienti diversi è una persona che impara a essere curiosa e a porsi delle domande. Non si sofferma di fronte alla verità assoluta di chi le propina notizie gridate perché prive di fondamento. All’inizio di questo post ho detto che questo fenomeno riguarda soprattutto i paesini. È perché le grandi città sono soggette a un continuo viavai di persone che arrivano da paesi diversi per motivi soprattutto lavorativi; in questi ambienti la gente è abituata a persone e culture diverse ed è costretta ad aprirsi mentalmente a una quantità di realtà talmente differenti che alla fine diventa normale accettare chi è dissimile dal loro modo di vivere. È per questo che ho voluto parlare di razzismo e di paura del diverso nel mio libro, perché sono convinta che raramente l’animo delle persone sia di natura cattivo e marcio, la maggior parte delle volte è perché, semplicemente, queste non hanno mai conosciuto una realtà diversa da quella che è stata insegnata fin da piccoli. Se si insegna alle persone ad essere curiose, c’è una buona probabilità che quelle stesse persone non diventino mai razziste o che cambino radicalmente il loro modo di pensare. Grazie per essere arrivato a leggere fin qui, significa che hai apprezzato l’articolo e questo mi fa molto piacere. Se vuoi saperne di più su quello che penso e quello che puoi trovare nei miei libri, iscriviti alla newsletter, per ricevere altre notizie. Niente spam, promesso.
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AutoreMoglie, zia orgogliosa, immigrata, autrice di 15+ romanzi, fervida sostenitrice del “be kind”, amante delle piante ma riesce a ucciderle in meno di una settimana. Seguimi su:Archivi
September 2024
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