Ricordo che una volta mia mamma mi disse “se vuoi ricevere la metà dei riconoscimenti di un uomo, devi lavorare il triplo e non lamentarti”. Avevo quindici anni e da quel giorno ne sono passati venticinque, ma le cose non sembrano essere cambiate, anzi, ultimamente pare che la società stia regredendo al punto in cui la donna è relegata al ruolo di sposa e madre all’interno della famiglia e senza poter avere nessuna aspirazione personale. Ne “la giara delle imperfezioni” ci sono due aspetti della vita di Daisy, la protagonista, che richiamano in maniera prepotente la situazione femminile dei giorni nostri: è figlia di una ragazza madre (per questo marchiata come una “poco di buono”) e lavora da un benzinaio, con mansioni che spesso vengono percepite come un “lavoro da uomo”.
Daisy ha vent’anni, quindi è stata concepita nel 1998 da una madre poco più che diciassettenne. La donna non ha mai voluto svelare il nome del padre per un motivo molto semplice: è un suo professore del liceo con cui ha avuto una relazione di cui nessuno, per ovvi motivi, sapeva nulla. Era un’adolescente, infatuata di un uomo più grande che si è approfittato di lei. Saputo della gravidanza l’ha abbandonata a sé stessa, facendola sentire in colpa per essersi concessa come una poco di buono. Quante volte è capitato anche a noi di “innamorarci” del nostro professore? Quante volte ci è capitato di sognare una romantica storia d’amore con qualcuno più grande perché ci dava quel senso di sicurezza che da adolescenti ci mancava? È capitato a tutti di prendere una sbandata almeno una volta nella vita solo che per lei la situazione ha superato quella linea che delimita in maniera inequivocabile la fantasia dalla realtà. Nel suo caso la linea l’ha superata l’adulto che doveva proteggerla e che si è approfittato della sua ingenuità e dei suoi sentimenti per i propri fini. Era un’adolescente, infatuata di un uomo più grande che si è approfittato di lei.
Eppure lei aveva non solo un fidanzatino, ma un uomo, con un lavoro e una certa reputazione, che pensava ci tenesse a lei, che le ha fatto scoprire un lato della sua sessualità senza prendersi cura dei suoi sentimenti, che l’ha lasciata con addosso il peso delle decisioni di entrambi. Avrebbe dovuto denunciarlo, far sapere a tutti chi era il padre, un test di paternità le avrebbe dato ragione, ma se anche la sua famiglia la considerava una prostituta, con che coraggio avrebbe affrontato la vergogna di camminare in mezzo alla gente, ai suoi compagni di classe che sussurravano il suo nome, agli adulti che la bollavano come la prostituta del paese? Lei ha fatto quello che molte delle donne che subiscono violenza, fisica o psicologica, fanno: rimangono in silenzio e nascondono il dolore sentendosi sbagliate e responsabili di quello che è successo. In molti paesi si lotta ancora per rendere legale l’aborto, come se la donna non avesse nessun diritto di decidere liberamente del proprio corpo e della propria vita.
Questo risveglio è appena cominciato e sta incontrando sulla sua strada molte resistenze da parte di una mentalità radicata difficile da cambiare (quando un attore uomo di fama nazionale dice in un’intervista su un giornale di tiratura nazionale “il femminismo ha ucciso il romanticismo” si capisce già di per sé quanto siamo ancora distanti dalla visione utopica della parità dei sessi). Il femminismo ha ucciso il romanticismo Mi è capitato, non molto tempo fa, di telefonare al gommista perché avevo bisogno di aggiustare una gomma forata e sostituire il ruotino con cui giravo provvisoriamente. Gentilmente mi ha dato appuntamento e quando sono arrivata per la riparazione, la prima domanda che mi ha fatto è stata “hai messo tu il ruotino o tuo marito? (dando per scontato che io abbia un marito, visto che non ci conosciamo e non può sapere la mia situazione famigliare)”. Vedendo la mia faccia perplessa di fronte a una domanda irrilevante visto che il ruotino è già montato, ho già percorso diversi chilometri e devo solo lasciare la gomma per farla riparare, specifica “Devo controllare che sia avvitato bene o no?”
Lei si è informata, ha studiato tutto quello che le serve per fare bene il suo lavoro, ha la stessa intelligenza e le capacità di un uomo ma è nata donna e questo la rende in automatico inadatta al ruolo che ricopre. È un piccolo aneddoto che però racchiude molto bene una mentalità che tocca anche Daisy, la protagonista del romanzo. Lei lavora dal benzinaio e l’unica cosa che i suoi concittadini si fidano di farle fare è il pieno di benzina. Non le lasciano gonfiare le gomme della macchina, non le lasciano consigliare sul tipo di olio motore che è più adatto alle loro esigenze. Lei si è informata, ha studiato tutto quello che le serve per fare bene il suo lavoro, ha la stessa intelligenza e le capacità di un uomo ma è nata donna e questo la rende in automatico inadatta al ruolo che ricopre. La situazione descrive un caso estremo di bigottismo, ma provate a pensare quante volte, nella vostra vita, qualcuno è andato a chiedere consiglio a vostro marito/compagno/fidanzato/fratello/padre piuttosto che venire da voi, solo perché l’argomento di cui si tratta è prettamente maschile. Fateci caso nelle normali conversazioni, non serve che siano casi eclatanti, sono piccolezze nella vita di tutti i giorni a cui ci siamo abituati e che noi stesse non ci facciamo più caso. Una spia si accende sul cruscotto della macchina? Si chiede aiuto all’uomo di casa, senza pensare che molto probabilmente la donna, invece di “tirare a indovinare” (perché magari l’uomo interessato non è un meccanico ma uno che di lavoro fa altro e di macchine non ne capisce nulla) andrebbe a rovistare per trovare il manuale di fabbricazione e darebbe una risposta precisa sui motivi di accensione della spia… e probabilmente avrebbe sotto mano il numero del meccanico. Questo approccio che mette una distinzione netta tra ruolo della donna e quello dell’uomo ha preso il sopravvento in maniera preoccupante anche nei media tradizionali. Quante volte durante i telegiornali sentiamo i termini come sindaca, ministra, avvocata abbinati a una carica ricoperta da una donna? La giustificazione che si cerca di dare a questa tendenza è quella di rendere paritari il ruolo della donna e dell’uomo, a parer mio è uno svilimento del ruolo femminile. Quante volte durante i telegiornali sentiamo i termini come sindaca, ministra, avvocata abbinati a una carica ricoperta da una donna? La definizione di avvocato del vocabolario Treccani può darmi una mano a spigare quello che intendo: ‘Il sostantivo maschile avvocato dispone di due forme femminili: avvocata e avvocatessa. La prima è di uso non comune, e per lo più ironico o scherzoso, con riferimento a donna che eserciti l'avvocatura, mentre è esclusiva, solo al singolare, come attributo della Madonna o di sante, con il significato di protettrice, interceditrice. La seconda forma, avvocatessa, è, invece, largamente usata per indicare, senza particolari connotazioni di registro, sia la donna che eserciti l'avvocatura sia la moglie dell'avvocato; può acquistare, diversamente, una sfumatura scherzosa quando sia riferita a donna dalla parlantina sciolta, risoluta nel sostenere le ragioni proprie o altrui. Si deve, infine, ricordare che molto frequente nell'uso giuridico è la forma maschile in -o, soprattutto in alcune locuzioni polirematiche di forte coesione (avvocato fiscale, avvocato d'ufficio...), anche quando ci si riferisca a donna, come accade in tutti quei casi in cui si voglia sottolineare la neutralità della professione rispetto al sesso di chi la esercita.’ sia la donna che eserciti l'avvocatura sia la moglie dell'avvocato; può acquistare, diversamente, una sfumatura scherzosa quando sia riferita a donna dalla parlantina sciolta, risoluta nel sostenere le ragioni proprie o altrui. Dal mio punto di vista, chiamare la professione con un sostantivo femminile è uno sminuire il lavoro che la donna fa in quel campo. Il lavoro dell’avvocata differisce in forma, difficoltà e obiettivi da quella dell’avvocato? Ha più o meno valore? Che differenza fa se a difendere una persona c’è una donna o un uomo? Non vedo perché sottolineare il fatto che un risultato si è ottenuto per merito di una donna piuttosto che di un uomo. In italiano la forma neutra si scrive con un sostantivo maschile, non esiste un termine che indica il genere neutro come in altre lingue, quindi perché non usarla? Essere donna al giorno d’oggi significa lottare ancora per acquisire gli stessi diritti per cui hanno lottato le nostre madri negli anni sessanta. Facciamo le stesse battaglie, ci inalberiamo per le stesse promesse mancate e per le stesse leggi ingiuste. Siamo ancora ben lontane dall’aver raggiunto l’obiettivo, ma la buona notizia è che ci sono tante menti brillanti e coraggiose, anche nelle nuove generazioni, che urlano a gran voce e si fanno ascoltare. Grazie per essere arrivato a leggere fin qui, significa che hai apprezzato l’articolo e questo mi fa molto piacere. Se vuoi saperne di più su quello che penso e quello che puoi trovare nei miei libri, iscriviti alla newsletter, per ricevere altre notizie. 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AutoreMoglie, zia orgogliosa, immigrata, autrice di 15+ romanzi, fervida sostenitrice del “be kind”, amante delle piante ma riesce a ucciderle in meno di una settimana. Seguimi su:Archivi
July 2020
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