ERIKA VANZIN
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Lavoro e college

11/6/2020

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Il romanzo “vieni a prendermi” e tutta la Stanford Series, è ambientata in un college americano, quello appunto di Stanford. La protagonista in questione fatica a trovare la sua strada, a decidere cosa fare nella vita. Ne avevo già parlato in precedenza in un altro post, affrontando il tema che a diciotto anni non sai cosa vuoi fare, in questo post voglio analizzare l’argomento che parte da una prospettiva diversa: serve ancora una laurea? Vale davvero la pena iscriversi all’università?
​La domanda potrebbe apparire un po’ polemica, ma non lo è. Il mio ragionamento parte da questo periodo di pandemia in cui si è stati costretti a portare le classi online invece che dentro a un’aula. Le lezioni si sono susseguite tra alti e bassi ma è venuta a mancare una componente fondamentale che è il valore aggiunto di qualsiasi scuola: il rapporto umano e le relazioni che si vengono a instaurare.
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Photo by Element5 Digital on Unsplash
​Una volta, prima dell’accesso a internet e alla quantità di informazioni che nasconde, l’università ti dava la possibilità di avere accesso a nozioni che difficilmente si potevano reperire altrove. Adesso però quelle informazioni si possono trovare autonomamente online, si possono comprare i testi che servono per studiare e chiunque può imparare da solo le stesse cose che vengono insegnate all’università. Basta impegno e curiosità per potersi arrangiare.
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Photo by Clay Banks on Unsplash
​Provate a entrare in un sito di una università qualsiasi, andatevi a cercare una laurea che vi interessa, andate poi nei singoli insegnamenti per trovare la lista di testi di riferimento da usare. Andate poi online e cercate quei testi nei negozi specializzati. Cercatevi i testi d’esame per quella materia, scoprirete che ci sono addirittura le raccolte delle domande più frequenti fatte dal professore titolare della cattedra. Studiando quei testi e preparandovi per quelle domande potreste tranquillamente andare a fare l’esame superandolo senza problemi. ​
In fondo, ci sono molti studenti che fanno gli esami da non frequentanti, non è una novità, se non c’è l’obbligo di frequenza al corso.
​Se ne avete la pazienza e il tempo potete tranquillamente studiare per un’intera laurea senza mai iscrivervi all’università. Le conoscenze teoriche potete acquisirle tutte solo con il semplice studio e tanta forza di volontà. Quindi cosa mi dà la laurea in più? La risposta teorica è una preparazione sul campo con stage e tirocini che ti preparano al mondo del lavoro, in pratica al massimo i contatti per introdurti nel mondo del lavoro.
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Photo by CoWomen on Unsplash
​Il numero di ore di pratica sul campo concessa dalle università, soprattutto italiane, è del tutto inadeguata a preparare una persona al mondo lavorativo. Una persona che esce dall’università ha sicuramente un bagaglio di conoscenza enorme ma non sa necessariamente applicarlo alla realtà lavorativa. Chi esce dall’università non ha idea di come scrivere un curriculum che davvero interessi all’azienda e non sa soprattutto come affrontare un vero colloquio. Se poi questa persona decide di affrontare un’esperienza lavorativa estera non saprà neppure come eventualmente contrattare un’offerta di lavoro. Una persona che esce dall’università non ha neppure idea di come sia fatto un ambiente di lavoro perché non ha mai lavorato in un’azienda, a parte qualche stage.
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Photo by Nate Johnston on Unsplash
​Mentre una volta l’università ti dava accesso a una cultura più vasta, adesso questa cultura la si può reperire da molte altre fonti. Quindi vale davvero la pena di spendere denaro e anni della propria vita a inseguire un pezzo di carta che l’università ti offre? Dipende dalla professione che si vuole andare a fare. Vale la pena se si vuole affrontare una professione che richiede una laurea per poter praticare, come ad esempio il medico, l’architetto, l’ingegnere e via dicendo. Per tutte le altre professioni, secondo me, serve davvero solo tanta buona volontà per studiare da soli e la voglia di mettersi in gioco fin da giovani in un’azienda che ti insegna a fare davvero il lavoro. ​
Usare gli anni che servono per un corso di laurea per fare esperienza e parallelamente studiare per migliorare la propria conoscenza.
​Le università stanno velocemente perdendo il loro status di passaggio obbligatorio per trovare lavoro, lasciando sempre più studenti insoddisfatti perché pare che gli istituti non riescano a stare al passo coi tempi. Questa pandemia ha infatti dimostrato che non è necessario andare all’università e fare esami per studiare la materia, che quando è più difficile andare dal professore a chiedere spiegazioni, ci si arrangia, semplicemente andandole a reperire altrove. L’impossibilità di partecipare a stage e tirocini ci pone di fronte al fatto che il valore aggiunto che l’università ti dà non è poi così grande come ci si aspettava prima di cominciare.
​Gli istituti universitari, secondo me, si troveranno di fronte al fatto che, se vogliono davvero continuare ad attirare persone dovranno cambiare il loro modo di insegnare. Tra l’anno accademico 2018/2019 e il 2019/2020 c’è stato un calo dello 0,7% delle matricole iscritte alle università statali. In rialzo quelle in ambito medico, in netto calo le altre. Il costo di frequentare l’università, comparato ai benefici che ne porta per trovare lavoro, non è più così irrisorio. Mentre una volta si era disposti a fare sacrifici per poter avere una posizione lavorativa migliore, adesso quei sacrifici sono diventati troppo alti rispetto ai benefici che se ne trae. Non ne vale più la pena.
​Le università devono già cominciare adesso a impostare un percorso che prepara le persone non solo dal punto di vista accademico ma anche da quello lavorativo. Devono dare agli studenti che le frequentano gli strumenti necessari per essere più competitivi degli altri, devono dare contatti, obiettivi studiati assieme alle aziende per poterli inserire in un mercato lavorativo estremamente competitivo e sovraffollato. L’università deve tornare ad avere un rapporto costi/benefici che invoglia un diciottenne a iscriversi e non si può limitare alla sola divulgazione di una cultura che ormai è accessibile a tutti.

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    Moglie, zia orgogliosa, immigrata, autrice di 15+ romanzi, fervida sostenitrice del “be kind”, amante delle piante ma riesce a ucciderle in meno di una settimana.

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